Come repubblicani non possiamo non partire dalla funzione che Mazzini assegnava all’istruzione e all’educazione. Istruzione ed educazione costituivano, per Mazzini, innanzi tutto lo strumento fondamentale per la costruzione della comunità nazionale, del sentimento di appartenenza e, insieme, lo strumento per il superamento di una logica nazionalistica di esclusione, Il sentimento di appartenenza, se non appoggiato ad una logica di apertura all’esterno e di inclusione, può facilmente sfociare in prospettive isolazioniste e nazionaliste di stampo aggressivo e gerarchico, mentre è necessario favorire un sentimento di appartenenza nazionale inclusivo e ugualitario per arrivare a riconoscersi nell’umanità. A fianco di tali obiettivi , ci sono quelli che vedono l’istruzione e l’educazione come strumenti per garantire all’individuo la sua autonomia e la sua libertà, l’emancipazione dallo stato di minorità proprio dell’età infantile e pre adolescenziale. Conseguenza logica tutto ciò è che la scuola non può che esser pubblica e non può essere soltanto istituzione che fornisce istruzione, lasciando l’aspetto educativo alla dimensione privata o ad altri soggetti che oggi sono essenzialmente la rete, i social, i gruppi dei pari cresciuti nella cultura della rete e dei social. Nella scuola debbono trovar posto momenti educativi e momenti di istruzione, momenti che debbono integrarsi lasciando spazio anche al momento individuale, alla libertà di espressione e di pensiero, per poter raggiungere l’obiettivo finale dell’ l’autonomia dell’individuo che diventa cittadino a pieno titolo, soggetto politico a tutti gli effetti, un’autonomia conquistata attraverso lo studio, l’impegno personale, la progressiva acquisizione del senso di responsabilità, della capacità di rispetto intesa sia come rispetto dell’autorità legittima sia come rispetto dell’altro e di sé. Un rispetto e una responsabilità che hanno bisogno della capacità di riconoscimento, e quindi dell’istruzione mirata a fornire tale capacità in senso lato, riconoscimento di sé, dell’altro, dell’ambiente in cui viviamo, delle sue articolazioni, del mondo del lavoro, una capacità di riconoscimento che può rendere concreta la libertà dell’individuo, la possibilità di fare scelte razionali.
Partendo da questi presupposti ci possiamo chiedere allora che cos’è il merito sbandierato dalla destra. Il merito è senza dubbio un elemento importante del percorso educativo e di quello dell’istruzione, un momento indispensabile per formare il cittadino perché se non si è in grado di riconoscere il merito, non si è neppure in grado di inserirsi nella società, di svolgere il proprio ruolo di cittadino attivo e partecipe, perché senza la capacità di riconoscer il merito si diventa facile preda delle fake news, dei populismi, delle sirene sussurrano che in ogni situazione uno vale uno. Ma per quanto riguarda la scuola il merito non è punto di partenza, ma semmai un punto d’arrivo. Che cosa vuol dire ad esempio merito nei vari gradi di scuola? Che cosa vuol dire merito, ad esempio, nella scuola primaria? Si deve reintrodurre qualcosa di simile alle prove mensili e ai premi come li troviamo nel libro Cuore? Io credo che si possa parlare del merito solo se si sono affrontati i problemi dell’equità e dell’offerta di eguali chances a tutti, un’equità intensa come strumento per ridurre le differenze dei punti di partenza, che non vuol dire garanzia di eguali punti di arrivo ma possibilità di percorsi differenziati per rendere la scuola uno strumento anche di rimescolamento sociale e di riduzione delle differenze individuali legate al contesto di provenienza e non alla naturale e insopprimibile disomogeneità tra gli individui, cosa che oggi non avviene perché le situazioni individuali di svantaggio registrate all’ingresso del percorso scolastico troppo spesso coincidono con le situazioni registrate alla fine di esso in termini di risultati ottenuti. Oggi la scuola è uno strumento di consolidamento delle differenze sociali e non lo strumento per la loro riduzione o la loro redistribuzione sulla base di quel merito che messo lì come slogan non si sa cosa sia, a meno che non sia il primo passo per il ritorno ad una scuola selettiva in base alle gerarchie sociali già consolidate e quindi in sostanza autoritaria, anche se mascherata da scuola aperta, amichevole e democratica.
La scuola inoltre è un servizio per la comunità, una connotazione spesso ripudiata soprattutto da una certa sinistra perché apparentemente troppo vicina a una terminologia aziendale, ma realistica a partire dall’asilo nido e dalla scuola dell’infanzia, servizio fondamentale se si vuole contrastare la drastica caduta del tasso di natalità e il rischio di una scomparsa precoce della popolazione giovanile attiva nel nostro paese. Come servizio deve esser flessibile, in grado di adattarsi ai bisogni delle famiglie sia per quanto riguarda gli orari che per quel che concerne la collocazione dei punti di erogazione. In tale prospettiva può essere utile la collaborazione con il privato e quindi la costituzione di asili nido e scuole dell’infanzia aziendali o di comunità locali, aperte alla partecipazione delle famiglie.
Per quanto riguarda la scuola dell’obbligo (scuola primaria, secondaria di primo grado, biennio iniziale della scuola secondaria di secondo grado), il problema più rilevante da affrontare è la ricerca dei nodi in cui si creano le più evidenti situazioni di svantaggio e di disaffezione scolastica e si gettano le basi dell’insuccesso scolastico (le ripetenze, l’interruzione temporanea della frequenza, i bassi livelli di competenza) e/o dell’abbandono, elementi che determinano il grave fenomeno della dispersione scolastica, cioè la mancata o incompleta o irregolare fruizione dell’istruzione da parte dei giovani in età. Vanno indagati a fondo i motivi che maggiormente determinano la presenza dei fattori che favoriscono fenomeni di dispersione al fine di ridurne la portata anche affrontando con decisione una piano strutturale di riforma che non sia il solito intervento di facciata che ogni governo propone nel momento in cui si insedia. In tale prospettiva di lunga durata deve essere affrontato il problema della revisione dei curricoli a partire dall’individuazione degli snodi in cui si creano maggiori problemi in termini di svantaggio o di abbandono, nell’ottica di ridurre la quantità di Neet, cioè di persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni (ma in Italia tale accezione è estesa ai giovani fino a 29 anni) che non studiano né cercano un lavoro, destinati perciò a diventare cittadini a metà
C’è poi l’enorme problema dell’orientamento e degli sbocchi che possono aprirsi al termine di un segmento scolastico o dell’intero percorso secondario che pone il problema del rapporto con il mondo del lavoro e con l’università. L’orientamento riguarda quindi gli studenti in due momenti importanti della loro vita scolastica e formativa, al termine del primo ciclo, quando debbono scegliere la scuola secondaria di primo grado, e al termine del secondo ciclo, quando debbono decidere se inserirsi nel mondo del lavoro o proseguire gli studi e quali studi proseguire. Tale problema non è mai stato affrontato in modo opportuno né al termine del primo ciclo, dove prevale la pubblicità che le scuole del secondo ciclo sono in grado di farsi, né con l’introduzione generalizzata nel secondo ciclo, senza un’adeguata preparazione degli insegnanti, del mondo del lavoro e delle università, dell’alternanza scuola lavoro poi trasformata in percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento. Sarebbe stato più utile differenziare i percorsi di orientamento sulla base della tipologia di scuola perché una cosa è la scuola tecnica, un’altra quella professionale e un’altra ancora quella liceale. Occorrono scuole secondarie in grado di dialogare con il mondo del lavoro e con l’università sulla base dei percorsi specifici del proprio ordine, dei bisogni di orientamento emersi dagli studenti e delle opportunità di studio e di lavoro presenti sul territorio e non un insieme di attività spesso costruite più sulla base dell’obbligo normativo che delle esigenze formative.
La scuola infine è una struttura complessa ed enorme dal punto di vista quantitativo sia per il numero di persone coinvolte sia per le risorse necessarie per gestirla. In essa ci sono l’asilo nido, la scuola dell’infanzia la scuola primaria, la scuola secondaria di primo grado, gradi di scuola in cui si gettano le basi per poter creare le condizioni per l’autonomia dell’individuo. Poi ci sono scuole secondarie di secondo grado e gli ITS, livelli di scuola dove si iniziano a differenziare i percorsi e si cominciano a gettare le basi di un percorso formativo proiettato anche sulle prospettive successive di lavoro e di studio. La gestione di tutto ciò richiede una struttura organizzativa e materiale che ad oggi è inadeguata. Edifici vetusti, senza laboratori senza palestre, una quantità enorme di supplenti che ogni anno gira tra le classi, senza una prospettiva strategica a lungo termine in quanto ogni governo pone la sua bandierina, ricomincia daccapo demolendo ciò che era stato fatto prima. Il punto da cui partire credo sia dotare la scuola del supporto necessario dal punto di vista economico e organizzativo che possa contare su edifici adeguati alle esigenze formative e dislocati sulla base di una strategia programmatica a lungo termine, e poi attrezzature, palestre, laboratori, infine l’eliminazione delle classi troppo numerose mediante la programmazione pluriennale sulla base dell’andamento demografico e della gestione dell’orientamento. In questo settore il ruolo delle regioni e degli enti locali è fondamentale. Immediatamente dopo deve essere affrontata la questione degli insegnanti con l’eliminazione del problema del precariato, particolarmente grave nell’area del sostegno dove vengono chiamate a svolgere il ruolo di insegnanti spesso persone senza esperienza scolastica oltre che senza titolo. C’è poi da affrontare il problema della retribuzione degli insegnanti e della costruzione di una carriera del docente finalizzata ad articolare e coordinare all’interno della scuola la didattica, nella prospettiva da un lato di legare la libertà di insegnamento degli insegnanti al diritto di apprendimento degli studenti e dall’altro di superare il baratro tra un dirigente solitario e un collegio indifferenziato come interlocutore. Infine, l’ultimo settore da affrontare è quello della revisione degli organi collegiali per renderli strumenti di gestione del percorso scolastico efficaci e rispettosi delle competenze dei vari soggetti coinvolti.