Credo che il punto da cui partire sia la situazione del partito sia a livello locale che regionale e nazionale. Se non si affronta con serietà e decisione questo punto, il rischio è quello dell’estinzione del partito in tempi brevi.
L’immagine che viene fornita del Partito Repubblicano nella regione Toscana nella relazione del segretario regionale sembra troppo ottimistica. Ad oggi è quasi totalmente assente una struttura nazionale del partito dotata di visibilità che funzioni come punto di riferimento per tutte le articolazioni locali. A livello locale le poche riunioni cui ho partecipato hanno visto una rappresentanza molto limitata di iscritti e la quasi totale assenza di giovani.
Le elezioni amministrative a Massa hanno confermato una visibilità del partito molto limitata. Dalla relazione del segretario regionale emerge che ci sono province in cui il partito non è neppure rappresentato (Pisa, Livorno, piana di Lucca e Garfagnana); in altre, dalle poche informazioni a mia disposizione, sembra che la presenza del partito sia poco più che formale. È inoltre quasi praticamente assente la comunicazione tra le varie sezioni.
Se l’obiettivo del partito è riconquistare un ruolo politico e diventare un soggetto politico attivo a tutti i livelli, da quello nazionale a quello locale, non si può che partire dalla situazione attuale in cui esso versa. Credo che ciò voglia dire individuare strategie e modalità di intervento per farsi conoscere, per far conoscere le nostre proposte, per confrontarsi e per mettere in relazione le sezioni territoriali al fine di creare una rete dove sia possibile lo scambio di esperienze e la cooperazione.
Essere riusciti a mettere in piedi liste con candidati propri e con il simbolo del partito repubblicano in alcune realtà territoriali è senz’altro stato un passo importante ma non sufficiente. Le elezioni di Massa lo hanno dimostrato, elogi per la lista, per il candidato sindaco, per il programma, in parte poi copiato anche da altre forze, ma pochi voti e quasi esclusi dal gioco politico. Non basta dire che abbiamo bisogno di volontari volenterosi, dobbiamo cercare di capire come individuare questi volontari e questi volenterosi e soprattutto come coinvolgere i giovani.
Un altro punto da affrontare che credo sia importantissimo è quello delle alleanze. Senza una politica delle alleanze sarà difficile giocare un ruolo attivo nei prossimi appuntamenti elettorali, e una politica delle alleanze richiede la capacità di individuare gli alleati, di negoziare, di mediare, di trovare intese partendo da un programma, da nostre idee. La situazione è molto complessa perché nell’area del centrosinistra, area di riferimento inscindibile per un partito come il nostro, i soggetti destinatari di possibili alleanze sono a loro volta in difficoltà a partire dall’area più moderata del centrosinistra, dove non si capisce bene cosa ha intenzione di fare Italia Viva e dove Azione pone veti che la isolano e in periferia, come è successo a Massa, è disposta a allearsi anche con il centrodestra pur di uscire dall’angolo in cui si è cacciata. Il Pd, a sua volta, è diviso al suo interno e non riesce a esprimere una politica delle alleanze chiara, per non parlare dell’inaffidabilità dei Cinque Stelle. Nonostante questo, dobbiamo porci il problema delle alleanze proprio per uscire dalla situazione di debolezza e di isolamento attuale, una politica di alleanze che può partire a livello locale anche dall’apertura di un dialogo con le liste civiche più vicine alle posizioni del nostro partito sulla base di idee che siano in grado di definire la nostra identità.
Se non affrontiamo questi problemi sarà difficile avere uno spazio politico visibile e giocare un ruolo nei prossimi due appuntamenti elettorali, quella delle elezioni europee e quello delle elezioni regionali.
Un punto di partenza a livello locale per una politica delle alleanze ce l’abbiamo ed è il programma che è stato elaborato per le elezioni comunali a Massa, uno strumento che va giocato mettendo da un lato da parte l’orgoglio di partito e creando le situazioni per discutere singoli aspetti con gli interlocutori possibili e interessati, dall’altro avendo ben presente quali sono le priorità irrinunciabili. Lo stesso dovrebbe esser fatto a livello provinciale e a livello regionale. Pochi punti che individuino le priorità espressi in modo chiaro e sintetico da cui imbastire un dialogo. Io metterei come primo elemento la sanità che oggi costituisce uno di problemi di fondo più pressanti con servizi sempre più in difficoltà a fronte di una popolazione che sta invecchiando e che quindi ha sempre più bisogno di accedere a quei servizi che sono essenziali per la dignità della vita. Come secondo elemento la salvaguardia del territorio e dell’ambiente e i problemi creati dalle conseguenze della crisi climatica, conseguenze che stanno mettendo a dura prova sia l’economia che la sicurezza delle persone e delle cose. Come terzo punto affronterei la cultura e la scuola che costituiscono l’ossatura e il futuro della democrazia del nostro paese. Infine, come quarto punto, affronterei il problema delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, del digitale, dell’energia, tutti elementi fondamentali per garantire una crescita economica sostenibile.
È evidente che c’è un tema, apparentemente da me non indicato, che coinvolge tutti questi aspetti, ed è il tema dell’economia e del lavoro. Tale tema non è per niente trascurato nell’ottica qui proposta perché è un tema trasversale che non può essere affrontato in modo isolato: affrontar la questione socioeconomica e del lavoro presuppone una serie di scelte per poter affrontare i problemi che tale area coinvolge con il rischio di farsi guidare dalle emergenze. È possibile evitare ciò solo se queste scelte sono fatte sulla base di priorità. E le priorità sono quelle sopra indicate: la salute, il territorio, la crisi climatica, la cultura e la scuola, le infrastrutture. La prospettiva che sta sotto un’impostazione del genere è quella di recuperare il ruolo della politica rispetto all’economia, un ruolo di guida, di orientamento, di luogo delle scelte che possano indirizzare verso obiettivi che, in sintonia con l’articolo 41 della Costituzione (L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.) rispettosi delle finalità sociali e ambientali.
Si può obiettare che nella prospettiva delle priorità sopra indicate mancano alcuni elementi che hanno oggettivamente una rilevanza per quanto riguarda la nostra regione come, ad esempio, il turismo o, nella nostra zona, l’estrazione del marmo; credo sia altrettanto evidente che, per esempio, per quanto riguarda il turismo la questione non possa essere affrontata in modo selvaggio, considerando il turismo soltanto come una fonte economica, perché altrimenti non usciremmo dalla logica degli interventi a pioggia o emergenziali. Occorre inserire turismo all’interno di una priorità e la priorità è la cultura che permette di vedere il turismo come strumento per rafforzare il rapporto con il territorio, con l’ambiente, con le città in cui viviamo, con la storia che ha plasmato la nostra regione e il nostro paese, un’ottica che può consentire di indirizzare gli investimenti in una particolare direzione ed evitare, ad esempio, lo scempio delle improvvisazioni legate ad iniziative di puro intrattenimento e di scarsa qualità culturale, messe in piedi solo per questioni economiche o di immagine. La strada da seguire è quella delle iniziative supportate da un chiaro valore culturale ed educativo.
Lo stesso per quanto riguarda il marmo. Se non si parte dalle priorità, sarà difficile operare scelte. Per quanto riguarda il marmo è evidente che tale questione non può essere affrontata se non nell’ottica della salvaguardia del territorio e dell’ambiente, della ricerca di una sintesi tra aspetto economico e aspetto ambientale, magari introducendo l’obbligo di trasformare o lavorare sul territorio una percentuale dell’estratto, ad esempio intorno al 50%.